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UZAK
Uzak è il titolo di un film turco, diretto da Nuri Bilge Ceylan, che ha ottenuto il premio della giuria a Cannes 2004, e in proiezione in alcune sale italiane. Il regista oltre ad aver diretto e scritto la sceneggiatura ha curato la fotografia. Questo ci dice che si tratta di uno dei tanti film indipendenti e low budget europei che si pongono come opere alternative allo star system. Apprezzato dalla critica internazionale, questo progetto cinematografico è tentativo di ispirazione poetica, riuscito, su temi universali quali: la solitudine,l'incomunicabilità, e soprattutto l'aridità del presente. Un film duro, minimalista e quasi privo di dialoghi. Quelle poche parole che ci sono dicono in ogni caso quanto basta, ma non dominano sull'immagine. Non a caso, il protagonista della storia è un fotografo affermato, inserito in qualche modo nel mondo dei priviligiati, ma profondamente triste e depresso. Il co-protagonista è invece un giovane campagnolo,parente disoccupato e ospite poco gradito del fotografo. Due mondi lontani, quelli della borghesia e quelli dei contadini disoccupati costretti ad andare in città per trovare un lavoro che non c'è, e che il legame parenterale non sembra poter avvicinare. A parte questi elementi generici della trama, il film procede dando valenza totale alle immagini, alternando scenari esterni inconsueti, e soffermandosi su sguardi e volti che dicono tutto. Istanbul sotto la neve è una realtà suggestiva e impenetrabile, ma non molto diversa dalla realtà di tutte le grandi metropoli del mondo. Le problematiche che il film affronta appartengono alla storia contemporanea dell'umanità. Il mondo dei benestanti blindato in una solitudine soffocante e da una forma di egoismo solo in parte compresibile, e quello del dramma dei disoccupati che nessuno vuole ascoltare. Si tratta di un film intenso e bello, ma non privo di estetismi e di una certa componente intellettuale che rende il tutto un po' freddo ed ermetico. Non ci si commuove e non ci si emoziona, ma si prova una certa pietà e compassione. Attori impeccabili, fotografia di grande qualità, musiche pertinenti. Tutto orchestrato con perizia, competenza e indubbio talento. Quello che un po' appesantisce e un montaggio che si sofferma troppo, che indugia sempre su gli stessi stati d'animo, esapserando il monotono. Alla fine quello che ne viene fuori è una fotografia perfetta nei minimi dettagli, sintesi di verità inecepibili, ma non così poetica come potrebbe apparire, semplicemente perchè l'occhio dell'autore è collegato sì al cuore, ma di più al cervello. L'attore protagonista è talmente bravo da farci provare repulsione e compassione, ma è il co-protagonista a portare un po' di calore e di fragile umanità, con la sua faccia e il suo sguardo da cane randagio. Film da vedere e rivedere, per cinefili colti ed esigenti, e per chi crede che l'immagine filmica non deve sottomettersi alla parola. Ceylan è uomo di rigore, attento
alla condizione umana e dotato di notevole capacità visionaria. Autoreferenziale
ma onestamente critico sulla figura dell'artista in genere.
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