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UZAK
Cult Frame, 07/2004
Mahmut è un fotografo. Vive solo
in una bella casa di Istanbul. Un giorno arriva improvvisamente Yusuf,
suo cugino. Viene dal "paese" ed ha bisogno di ospitalità. È
infatti ad Istanbul per cercare lavoro sulle navi.
Tra i due ci sarà dunque una convivenza forzata, fatta di silenzi e solitudini
intrecciate. Yusuf ha difficoltà a trovare occupazione, mentre Mahmut
si divide tra i suoi impegni fotografici e incontri clandestini con la
donna di cui è amante.
Nessuno dei due cugini è felice e Istanbul appare allo stesso tempo accogliente,
gelida e triste.
Recensione
La neve scende lentamente su Istanbul.
La città sembra fuori dal tempo, situata in una dimensione della mente
più che in una realtà geografica. Le strade, il mare, il porto, i palazzi
esprimono un senso di sospensione, di svuotamento di senso che incide
sulle azioni umane, ma ancor di più sui pensieri.
In questo contesto, due animi solitari sono costretti ad una convivenza
forzata, fatta di silenzi, attese, film in vhs, sfilate di moda in tv,
e mille sigarette fumate sul terrazzo. Il fotografo affermato, ma triste,
e suo cugino, il "contadino" disoccupato che cerca di imbarcarsi
come mozzo, sono individui profondamente diversi che vivono però le loro
solitudini in modo simile, introiettando il dolore in un cinismo esistenziale
fortissimo.
L’unico contatto con la realtà
sembra essere per entrambi l’universo femminile e il desiderio sessuale.
Mahmut cerca "calore" in video hard e nell’amore di una donna
spostata che frequenta clandestinamente, mentre il cugino Yusuf guarda
le giovani coppie felici che camminano per la strada e sublima il proprio
desiderio erotico guardando le gambe delle ragazze nella metropolitana.
Uzak è un film sulla solitudine contemporanea. Istanbul sembra essere
il palcoscenico ideale per raccontare una storia che si sarebbe però potuta
girare in qualunque altra metropoli contemporanea. Il valore aggiunto
di questa grande città turca e la sua dolente e naturale malinconia, quell’aria
evanescente e soporifera che sembra avvolgere i corpi e le menti delle
persone.
Nuri Bilge Ceylan è un ottimo regista, dotato di uno sguardo allo stesso
tempo freddo e carico. Ogni inquadratura è perfettamente calibrata e impostata
secondo un occhio chiaramente fotografico. I movimenti di macchina, lenti,
precisi, inesorabili sottolineano alcuni passaggi assecondando un flusso
visuale volutamente monocorde e sottotono. A ciò si aggiunge una fotografia
basata su colori densissimi e lividi, fattore che fornisce al film un
aspetto tutto interiore e mentale.
Perfetti i due protagonisti, Mehemet
Emin Toprak e Muzzafer Ozdemir, sempre misurati e apparentemente distanti,
in realtà totalmente in sintonia con la cifra poetica del film.
I riferimenti espressivi di Nuri Bilge Ceylan sono chiari. Se Andrej Tarkowskij
è più volte citato, anche con l’utilizzazione di brani di Stalker, non
sono estranei alla poetica del regista turco i silenzi e la rarefazione
stilistica di Theo Angelopoulos.
Uzak è stato presentato al Festival di Cannes del 2003, ottenendo un notevole
successo. Gli è stato, infatti, assegnato il Gran Premio della Giuria
e il Premio per il Miglior Attore ex aequo a Muzaffer Ozdemir e Mehemet
Emin Toprak.
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