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Uzak
Enzo Fragassi, Del Cinema (Italy), 16 June 2004
Malinconia zen. In una Istanbul silente, avvolta nella neve che ne imbianca
i tetti, i moli e gli acuminati minareti, un fotografo in crisi di identità
idee e amori riceve la visita di un giovane lontano parente. Licenziato
dalla fabbrica che dava lavoro a tutto il paese, il giovane ha deciso,
senza troppa convinzione, di trasferirsi nella capitale per cercare un
ingaggio come mozzo su un bastimento. Ma la convivenza dopo un po' si
guasta e le due esistenze, inconciliabili e distanti, si abbandonano senza
una parola.
Un film piccino piccino, che stupì persino la giuria del Festival di Cannes
2003, presieduta da Patrice Chéreau, aggiudicandosi il Gran premio della
giuria e quello per il miglior attore (ex aequo a Muzaffer Özdemir e Mehmet
Emin Toprak; il secondo, cugino del regista, perì in un incidente pochi
mesi prima della presentazione a Cannes). La cifra del regista, Nuri Bilge
Ceylan, che ha curato pressoché tutti gli aspetti del film, utilizzando
un budget risicato, è quella della sottrazione. I lunghi silenzi, le inquadrature
accurate ma statiche ricordano il cinema dei maestri giapponesi. Un giardinetto
zen con al centro le cupole della Moschea Blu.
Per la serie «l'ospite è come il pesce, dopo tre giorni puzza», il miracoloso
Uzak racconta una storia che dire minimale è poco. Dal punto di vista
dell'azione, il clou è rappresentato dalla scena della cattura del topolino
che aveva fatto il nido in casa del protagonista... Per il resto, dialoghi
scarni e involuti, lunghi silenzi e inquadrature fisse, una fotografia
accurata e poetica su una città, Istanbul, colta con amore non compiaciuto.
Ma è soprattutto una riflessione sulla distanza che divide le persone
quella che Ceylan, al suo terzo lungometraggio (Kasaba, The small town
è del 1997; Mayis Sikintisi, Clouds of May del '99) ci trasmette. Un cinema
di rigore estremo, asciutto ma vero. Malinconia zen.
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