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UZAK
Fabio Ferzetti, Il
Messaggero (Italy), 23 giugno 2004
Ancora un film da non perdere fra
gli scampoli di fine stagione. Lo ha diretto (e scritto, fotografato,
montato, ambientato) il turco Nuri Bilge Ceylan, classe 1959, talento
sottile e insinuante. In concorso a Cannes nel 2003, l’anno di Elephant
, ha vinto il Gran Premio della Giuria e una palma ex aequo per i due
attori, il più giovane dei quali, purtroppo, morto dopo le riprese in
un incidente. Dovessimo definirne il tema (in senso musicale) diremmo
che è un film sulla malinconia, lo spleen, anzi la lontananza, poiché
questo significa Uzak.
Lontananza non solo fisica ma spirituale,
perché si può esser lontani anche da se stessi. Come càpita appunto al
fotografo Mahmut, costretto a ospitare per alcune settimane un parente
venuto da lontano a cercare lavoro nella capitale.
Fedele alle sue piccole manie da divorziato, Mahmut tollera appena l’intruso,
lo tiene a distanza, detta mille regole di convivenza puntualmente disattese
da Yusuf. Che invece, pieno di tempo e di sogni, bighellona per le strade
di Istanbul, guarda le ragazze, cerca pigramente un impiego; finendo per
innescare, come un reagente chimico, la silenziosa crisi di Mahmut. Il
quale sognava di fare film «come Tarkovskij» ma la sera, appena Yusuf
se ne va a dormire, toglie dal video la cassetta di Stalker e ne infila
una porno. Mentre la sua grande casa e la sua vita agiata si fanno ogni
giorno più vuote, gli amici lo rimproverano, l’ex-moglie, cui è ancora
legato, se ne va a vivere in Canada col nuovo compagno.
Molte le immagini che restano dentro: Istanbul sotto la neve con le sue
moschee, sinfonia di bianchi e di grigi, nitida e remota come una visione.
Un topolino incollato alla carta topicida che squittisce monotono nella
notte. Un paesaggio struggente intravisto dall’auto, il lago, il gregge,
la luce “a cavallo”, tutto così perfetto che il fotografo si ferma, scende,
si prepara a scattare qualche foto ma subito riparte. Perché forse è tardi,
non ne vale la pena, anzi non c’è più nulla che valga la pena fare, seguire,
costruire. Ma non si pensi a una banale deriva depressiva. Nuri Bilge
Ceylan sa sposare la fragilità del mondo al cuore segreto, e segretamente
umoristico, delle cose. Un Tarkovskij corretto da Ioseliani, se vogliamo.
Vale la pena scoprirlo.
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