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UZAK
di Nuri Bilge Ceylan
Fabrizio Tassi, Liberta (Italy), 4 giugno 2004
A una prima occhiata - messinscena
statica, lunghi silenzi, immagini liriche - sembrerebbe cinema d’autore
vecchia maniera, quello coi personaggi persi/malinconici che fissano il
vuoto, e tutti i luoghi comuni del genere colto-intellettuale.
La non-storia di questo film turco si svolge a Istanbul e non-racconta
un fotografo di successo annoiato dal proprio benessere e dalla propria
arte, e del cugino che lo raggiunge dalla campagna, in cerca di un lavoro
per aiutare la sua famiglia.
Si entra a fatica in questo film, che mette in scena la lontananza (Uzak
significa lontano) in tutte le sue forme: geografica, sentimentale, ideale.
Lontano dalla propria terra di origine, ma anche lontano da un futuro
impossibile da decifrare e soprattutto lontano da se stessi. Poi i silenzi
si fanno sempre più “rumorosi”, le immagini avvolgenti. E il non-detto
ti risucchia tra le pieghe della non-trama.
E così si scopre che Uzak non è solo un noioso film d’autore all’europea,
di quelli che fanno i vaghi e i poetici per sembrare profondi. E’ davvero
un film profondo e tremendamente “vago”, e per questo premiato a Cannes
2002 (Premio della Giuria e premio di coppia alla migliore interpretazione).
E’ la fotografia di una sensazione, di una tristezza sfuggente.
Il film è tutto giocato sull’alternanza tra le immagini (bellissime, senza
essere semplicemente pittoriche) di una Istanbul inedita, invernale, coperta
dalla neve, e la difficile convivenza tra i due uomini nella casa di Ozdemir,
il fotografo, che ci racconta il volto molto occidentale del benessere
turco (inedito anche questo), dalla tv sempre accesa agli optional che
non danno nessun piacere. Anche Todrak, il contadino, finirà risucchiato
dalle promesse e dalle malinconie della metropoli?
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