|
|
«Uzak»,
l'inverno a Istanbul
Alberto Crespi, Unita (Italy), 19.06.2004
Cosa vi dice l’espressione «cinema
turco»? Alt: evitate facili battute... La Turchia è un paese sul quale
noi «europei» ci nutriamo di luoghi comuni, ma dopo che è arrivata terza
ai mondiali di calcio e ha vinto più premi dell’Italia ai recenti festival
di cinema forse dovremmo rivedere le nostre posizioni. A Cannes 2003,
ad esempio, la Turchia è andata molto meglio di noi: Uzak, in concorso,
ha vinto il Gran Premio della Giuria (quello che anni fa toccò a La vita
è bella di Benigni, e noi ci organizzammo intorno, giustamente, quel po’
po’ di can-can) e il premio dell’attore protagonista, andato ex aequo
ai due interpreti Mehmet Emin Toprak (cugino del regista, e suo collaboratore
da sempre) e Muzaffer Ozdemir. Il primo, purtroppo, era tragicamente scomparso
pochi mesi prima, in un incidente stradale avvenuto nella sua città, Yenice.
Il premio fu quindi assegnato alla memoria. Un triste destino condiviso,
pensate la coincidenza, con il film russo che nello stesso 2003 vinse
il Leone d’oro a Venezia: uno dei due giovani interpreti del Ritorno,
Vladimir Garin, era morto annegato nello stesso lago dove si erano svolte
le riprese.
Il regista Nuri Bilge Ceylan ha 45 anni e Uzak è il suo terzo lungometraggio.
È la dimostrazione vivente che in Turchia esiste una nuova generazione
di registi che ha raccolto il testimone del grande Yilmaz Guney e dei
suoi collaboratori. Un’altra, ad esempio, è la bravissima Yesim Ustaoglu
che nel ‘99 stupì il festival di Berlino con il magnifico Viaggio verso
il sole. Quello era un film epico, di grandi spazi, quasi fordiano. Uzak
è un film più intimo, invernale, ai limiti del tarkovskiano: però con
un’energia, una vitalità tutte sue. La storia, molto classica, è una parabola
dell’inurbamento: Mahmut, 40 anni, è un provinciale che ha sfondato a
Istanbul, è diventato un fotografo di successo ma ora è in profonda crisi
esistenziale dopo che la moglie l’ha lasciato; suo cugino Yusuf gli piomba
in casa all’improvviso, «profugo» dal villaggio natìo dopo che la fabbrica
in cui lavorava ha chiuso. Yusuf cerca lavoro; Mahmut cerca equilibrio.
Yusuf è un campagnolo con buffe e irritanti abitudini, Mahmut è un campagnolo
ripulito che della città ha introiettato tutto, anche le nevrosi. In fondo
il film è la storia di una doppia crisi, in cui due modelli maschili si
mettono in discussione e si specchiano l’uno nell’altro.
Ceylan ha girato il film in casa propria, ed è poi andato alla ricerca
della Istanbul più cupa e crepuscolare. Un po’ per il tempo (nevica sempre),
un po’ per come la città diventa teatro delle angosce (a volte quasi buffe)
dei protagonisti, Uzak è il film in assoluto meno «turistico» che possiate
aver visto sulla Turchia. Anzi, è esattamente l’opposto: è il film che
colloca la Turchia in Europa. Ma non l’Europa delle monete e delle banche,
bensì l’Europa delle nevrosi e delle disillusioni, l’Europa dove il lavoro
(anche creativo, come la fotografia) non è più giustificazione di una
vita e dove i ruoli sociali e sessuali sono costantemente riscritti e
rimodellati. L’Islam, sullo sfondo, si sente: ma Uzak è il primo film
in cui i turchi sono (purtroppo per loro) nostri fratelli. È un film su
di noi.
|