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UZAK
(LONTANO)
Maria Carla Zarro, Web Magazine (Italy), 07/06/2004
Se fosse un pittore, sarebbe di
scuola caravaggesca. Il turco Nuri Bilge Ceylan ci emoziona davvero con
la sua straordinaria abilità nel dirigere anche la fotografia di questo
suo lungometraggio che parla la lingua più propria del cinema, l’immagine
, studiata, composta, collocata e bagnata di luce a regola d’arte.
Il fotografo Mahmuth accoglie senza entusiasmo nella sua casa di Istanbul
il cugino Yusuf, proveniente dalla provincia, in cerca di lavoro. Yusuf
vorrebbe imbarcarsi su un mercantile come mozzo, ma si rende subito conto
di quanto questo sia difficile, e intanto il suo soggiorno presso Mahmuth
si prolunga. Vediamo il giovane vagare a lungo nella città livida e innevata
, alla ricerca non solo di un’occupazione ma anche di contatti umani,
di relazioni che in qualche modo legittimino la sua identità .
Mahmuth è un uomo solitario ancora legato a sua moglie, dalla quale ha
divorziato, ma da cui non si è mai davvero separato affettivamente. Trascina
stancamente una storia con un’altra donna, sposata, cui però non sa regalare
se non tristi e insoddisfacenti incontri . Quando la ex moglie gli annuncia
il suo definitivo trasferimento in Canada con l’attuale compagno, lui
va a spiarne la partenza all’aeroporto, restando a guardare e a pensare,
forse, anche al figlio che anni prima lui non ha voluto da lei , ora diventata
sterile. Intanto, la presenza del cugino nella sua casa e nella sua vita
diventa sempre più ingombrante, sconvolgendo ritmi e abitudini consolidate
e costringendolo anche a sgradevoli reprimende.
Da notare alcune inquadrature di un rigore quasi cartesiano, “tagliate
“ da un vetro o da una finestra che divide i due uomini , così diversi
eppure similmente prigionieri del loro isolamento.
Una fotografia accuratissima sottolinea, esalta, sfuma, lasciando dominare,
su tutto, uno sguardo rassegnato e impotente, talvolta rinunciatario.
Lo sguardo del fotografo-personaggio che ritrae e ritaglia una sua realtà,
entusiasmandosi, solo per un momento, per la splendida luce obliqua di
un paesaggio all’imbrunire, ma poi negandosi il piacere di fermarla sulla
pellicola . Lo sguardo dell’amante, che incontra per caso in un locale,
lo lambisce di sfuggita, in uno scambio clandestino di segnali codificati,
o quello del giovane che insegue una ragazza, per poi ritirarsi di nuovo
nella sua solitudine. Ancora, lo sguardo del fotografo che nella sua casa
rende omaggio a “Solaris” dell’amato Tarkovsky, citato altrove anche esplicitamente.
E infine , lo sguardo di Mahmuth (il bravissimo Muzzafer Ozdemir) , seduto
su una panchina del porto, che fissa un punto imprecisato, “lontano” (=Uzak)
: un lontano che ha inghiottito non solo l’invadente cugino, partito all’improvviso,
ma anche la donna che ama ancora.
Dobbiamo purtroppo ricordare che Mehmet Emin Toprak, “Yusuf”, è scomparso
in un incidente automobilistico subito dopo il termine delle riprese.
Fra tante produzioni che ci “spiegano” tutto con dialoghi ridondanti e
sceneggiature barocche, ecco invece un film asciutto e ineccepibile in
cui “sentiamo” tutto in gran parte attraverso la composizione pittorica
. (Gli perdoniamo perfino certe immagini sporcate dall’incongrua e assidua
presenza di una “Smart”, evidentemente sponsor più o meno ufficiale).
Evviva Ceylan. Gran Premio della Giuria, e Palma d’Oro per la miglior
interpretazione ai due attori a Cannes 2003; da poco nelle sale italiane
(non è mai troppo tardi).
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